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PERCHÉ IL MIO PAESAGGIO VALE. APPUNTI DI AUTOSTIMA TERRITORIALE – di Emanuele Forzese

Era il 1973, quando la modella e attrice Joanne Dusseau pronunciò la frase “Because I’m worth it” (“Perché io valgo”) – destinata a diventare uno degli slogan più famosi al mondo – all’interno di una campagna pubblicitaria lanciata da un gruppo industriale francese specializzato nel settore cosmetico. In oltre quaranta anni l’autostima ha dato vita ad un fiorente mercato di consumo che non conosce crisi: oltre ai fiumi di inchiostro versati su questo tema dai saggi scientifici ai manuali di self-help, oltre ai corsi e seminari che promettono di migliorare la valutazione di sé in ogni settore della vita, numerosi sono i prodotti commerciali cui viene applicata questa “magica etichetta” per incrementare le vendite.

In tutti i casi menzionati l’autostima è posta in relazione con l’individuo, ma perché non provare a estendere il ragionamento agli spazi della nostra quotidianità? Se io valgo, vale anche il paesaggio che abito?

L’Articolo 1 della Convenzione Europea del Paesaggio, definendo quest’ultimo «una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni», riconosce l’importanza della dimensione psicologica nel rapporto con i luoghi; inoltre tra le misure specifiche previste dall’Articolo 6 si fa esplicito riferimento alla necessità di individuare, analizzare e valutare il proprio paesaggio, tenendo conto sia dei caratteri naturali in esso rintracciabili sia dei valori antropici che gli vengono attribuiti. Appare dunque lecito ragionare sui meccanismi mentali che consentono di promuovere la stima dell’ambiente costruito; in particolare, di seguito si proverà a trarre spunto dalle riflessioni che lo psicologo Nathaniel Branden ha sviluppato nel saggio “I sei pilastri dell’Autostima”.

Per “autostima territoriale” si deve intendere molto più del senso di valore attribuito al contesto, in quanto più specificamente tale espressione si basa sul senso di efficacia e sul rispetto nel processo di costruzione del paesaggio: nel primo caso rappresenta la fiducia nella nostra capacità di pensare e di superare le sfide fondamentali poste dall’abitare; il filosofo José Ortega y Gasset sottolinea come, diversamente dalle specie animali che hanno ciascuna uno specifico habitat, la terra sia originariamente inadatta per l’uomo, il quale si trova costretto a costruire per divenire a posteriori capace di vivere dovunque. Nel secondo caso, l’autostima si traduce nella consapevolezza di meritare la qualità paesaggistica, ovvero nel diritto di affermare le aspirazioni correlate alle caratteristiche dell’ambiente antropico. In altri termini, fidarsi della propria attitudine costruttiva e sapere di meritare un paesaggio di qualità costituiscono l’essenza dell’autostima territoriale, che si ottiene attraverso l’esercizio quotidiano di sei pratiche, definite “pilastri” da Branden: abitare consapevolmente; accettare il proprio paesaggio; assumersi la responsabilità delle scelte individuali e collettive; affermare il proprio paesaggio; conseguire gli obiettivi; rimanere coerenti all’etica del paesaggio.

“Abitare consapevolmente” implica lo sforzo continuo di essere consci di tutte le azioni, gli obiettivi e i valori che investono il paesaggio, nonché di comportarsi in accordo con ciò che si percepisce e si apprende.

“Accettare il proprio paesaggio” include tre livelli di significato: il primo si riferisce alla tendenza a valorizzare e assumersi degli impegni verso i luoghi del vivere quotidiano; il secondo comporta la disponibilità a riconoscere sensazioni, emozioni, aspirazioni e meditazioni riguardanti il contesto urbano per quello che sono, senza negazione o evasione quando ciò che percepiamo non ci piace; infine, il terzo livello implica l’idea di avere un interesse comprensivo, di indagare sulle motivazioni che hanno generato azioni inappropriate, indesiderate o inaccettabili sul territorio.

Il senso di responsabilità invocato dal terzo pilastro è quello che traspare dal pensiero di João Ribeiro Ferreira Nunes, paesaggista e fondatore dello studio PROAP, il quale paragona il paesaggio al ritratto di Dorian Gray, poiché «tutte le tracce delle nostre scelte che vorremmo rimanessero nascoste, diventano visibili nel paesaggio, anche se non le accettiamo e non le riconosciamo come nostre. Però è un nostro ritratto, un ritratto delle nostre scelte. Se le scelte fossero altre, i paesaggi sarebbero altri, se i valori fossero altri, i paesaggi sarebbero altri» [in Alessio Battistella, Trasformare il paesaggio, 2010].

“Affermare il proprio paesaggio” significa rendere onore tanto ai valori del territorio (ecologico-ambientali, socio-economici, storico-culturali, estetico-figurativi) quanto ai bisogni individuali e collettivi (biologici, emotivi, simbolici, espressivi), cercando la forma architettonica più appropriata per esprimerli nel contesto.

Il conseguimento degli obiettivi è un processo che include le seguenti fasi: formulazione consapevole delle finalità; identificazione delle azioni necessarie al loro raggiungimento; monitoraggio dei comportamenti per verificare che siano in linea con gli obiettivi prefissati; valutazione del risultato delle azioni sul paesaggio, con eventuale revisione delle strategie messe in atto.

Infine, la coerenza etica del sesto pilastro, che consiste nella corrispondenza tra teoria e progetto del paesaggio, per l’architetto Vittorio Ugo deve regolare il complesso rapporto intercorrente tra gli ambiti eterogenei delle “parole” – teoriche, storiche e critiche – e degli “spazi” – progettati e costruiti.

Un esempio siciliano può aiutare a comprendere quanto la costruzione – e dunque la percezione – del paesaggio avvenga spesso non del tutto consapevolmente: se per un abitante collocare un serbatoio in polietilene sul tetto della propria abitazione consente in primo luogo di soddisfare un fabbisogno idrico, quanti abitanti si rendono conto che l’insieme di tutti i serbatoi concorre a definire l’immagine di una città come Caltagirone?

Attuare le sei pratiche appena descritte richiede uno sforzo continuo tanto per il singolo individuo quanto per la comunità, e l’energia per affrontare tale impegno può derivare solo dall’amore per ogni paesaggio, sia esso “eccezionale”, “quotidiano” o “degradato” come recita la già citata Convenzione Europea: questo amore è il settimo pilastro dell’autostima territoriale. Perché il paesaggio – ogni paesaggio – vale.

Emanuele Forzese

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