Volevo fare l'architetto Il mio primo libro

02 – Se non fossi ottimista sarebbe impossibile per me essere architetto

Stando ai dati reddituali diffusi dagli esperti, volendo calcolare la pensione media di un un giovane che si iscrive a Inarcassa nel 2013 a 28 anni, con un reddito annuo medio di partenza che oggi è pari a 10.000 – 12.000 euro, andando in pensione nel 2050 a 65 anni, percepirà 11.000 euro, contro i 27.000 euro delle vecchie pensioni, pari al 34% del reddito, con un abbattimento di oltre il 60% delle retribuzioni prima della riforma. Ovvero contributi, vincolati per trent’anni, che saranno restituiti con un rendimento dell’1%.  Ancora oggi, secondo i dati inarcassa, un professionista del Sud Italia dichiara un fatturato intorno i 13.000 Euro, ma come possiamo affrontare tutte le spese con redditi così bassi? Tra IVA, cassa di previdenza, imu, tarsu, tasi, affitto e relative utenze che nel nostro caso sono raddoppiate ( casa e studio), dove dobbiamo prendere i soldi per il sostentamento primario (cibo, vestiti ecc..)? Durante la mia esperienza di vita e professionale, ho avuto la fortuna di conoscere altre culture in cui lo stato è sempre presente e i cittadini sono anche contenti di pagare le tasse, perché in qualche modo, i soldi versati dalla comunità, hanno un percorso di rientro. Un esempio: nel 2013 mi recai in Danimarca per lavoro, dopo l’ennesima delusione professionale, decisi ancora una volta di puntare il mio sguardo verso altri orizzonti, così misi un curriculum su internet e in breve tempo, ricevetti una proposta di lavoro. Una famiglia danese, mi contatta per trasformare e riammodernare un fienile in spazi abitativi, dopo qualche e mail di scambio, prendiamo appuntamento direttamente sui luoghi per cominciare le prime operazioni di rilievo. Mi offrirono vitto, alloggio ed un congruo pagamento stabilito durante le nostre conversazioni virtuali. Forse era finalmente arrivato il mio momento, il punto di una nuova partenza, stavo espatriando e questa volta ero più deciso che mai. Decisi di affinare il mio inglese scolastico e di frequentare un corso di lingua in Irlanda prima del trasferimento in Danimarca, trovai un alloggio economico e mi iscrissi ad una delle migliori scuole. Là, nel giro di una settimana mi accadde l’inverosimile; conobbi durante la mia prima settimana di permanenza, un collega che lavorava in un prestigioso studio di architettura, dopo i primi convenevoli, mi porta nel suo studio, mi fa vedere i suo lavori, che devo dire erano di alta qualità. Vedevo Architettura, studiata, pensata, ragionata, mi sembrava di essere tornato all’Università, mi sentivo a casa; ci confrontammo su varie tematiche, ci scambiammo i recapiti e cominciammo a frequentarci. Dopo qualche giorno, arriva la proposta di collaborazione, in quel periodo lo studio stava lavorando alla redazione di un progetto per un carcere a Dublino e di un Ospedale. Contentissimo accettai senza riflettere, anche se avevo già un appuntamento ben preciso in Danimarca. Così iniziai a frequentare lo studio, conobbi i vari componenti dello staff tra cui un italo-svizzero, un colombiano, un russo e ovviamente irlandesi. Il mio scarso inglese, migliorava ogni giorno, tra la scuola e il lavoro, nel giro di poche settimane raggiunsi un discreto livello, ma soprattutto, avevo una vita, un lavoro, degli amici e la città dove vivevo, Galway, era ed è davvero affascinante. Un città dalla storia millenaria, per certi versi simile alla nostra, i primi ritrovamenti risalgono all’epoca neolitica, ricca di arte e cultura, di festival, eventi, attività da fare nel tempo libero, piena di parchi e giardini, molti dei quali dedicati ai bambini, un enorme acquario e una prestigiosa università aperta nel 1849 con circa 17.000 studenti immatricolati ogni anno provenienti da tutto il paese, per non parlare dell’enorme afflusso turistico presente in ogni momento dell’anno. Ma come può una cittadina di circa 75.000 abitanti, più o meno come Caltanissetta, avere queste potenzialità? Ebbene parlando con i residenti autoctoni, ho potuto constatare che, sebbene anche lì esista come in qualsiasi altra parte del mondo, una certa corruzione, le amministrazioni, tanto locali quanto statali, investono sul territorio, anche attraverso un lavoro di immagine, per favorire l’attrazione turistica e culturale, ovvero un approccio sinergico alla promozione del territorio. Tradotto in italiano si chiama “marketing territoriale” il quale promuove un prodotto particolare il territorio, ovvero l’insieme di quelle peculiarità (geografiche, storiche, artistiche, paesaggistiche, ecc.) che rendono un’area unica ed irripetibile. Un approccio moderno e manageriale della promozione territoriale deve partire proprio dall’analisi delle risorse tangibili ed intangibili di un territorio, per definire strategie di promozione efficaci che rendano il territorio un prodotto “appealing”, in grado di intercettare la domanda locale ed internazionale. Il prodotto è rappresentato da un insieme di luoghi, eventi, infrastrutture, servizi, attrazioni (entertainment, cultura, sport, eventi) e di soggetti-attori (chi gestisce l’offerta). L’obiettivo strategico che si intende raggiungere è il rafforzamento della competitività del territorio come destinazione turistica. Bene a Galway lo hanno fatto e lo continuano a fare. Ma perché in Italia invece la situazione è decisamente peggiorata? Siamo più stupidi? Siamo più ignoranti? La risposta è nella gestione della “res pubblica” secondo il rapporto di Corruption Perception Index 2014 di Transparency International, l’Italia è prima per corruzione tra i paesi dell’UE e resta stabile al sessantanovesimo posto mondiale, come lo scorso anno, ma sconta scandali come Expo e Mose, senza contare che le rilevazioni sono state eseguite prima che scattasse lo scandalo «Mafia Capitale» a Roma. Dobbiamo per forza pensare che si stava meglio quando si stava peggio? Io non ci sto!!! La prima università pubblica è stata la prima delle cinque università di Napoli voluta nel 1224 da Federico II “Stupormindi”, la più antica università d’Europa è quella di Bologna fondata nel 1088, l’Italia è il paese che possiede il patrimonio artistico e culturale più importante del mondo, sia in termini di quantità (siamo il paese con la maggior distribuzione di musei sul territorio) che di qualità, ma sta cadendo a pezzi, ormai è sotto gli occhi di tutti. PricewaterhouseCoopers ha presentato il rapporto “Il valore dell’arte: una prospettiva economico – finanziaria” da cui si evince un forte gap competitivo del ritorno economico del patrimonio artistico- culturale italiano rispetto agli altri paesi ed una scarsa capacità da parte del sistema Italia di sviluppare il potenziale del nostro paese. L’Italia, si legge nel rapporto, possiede il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale con oltre 3.400 musei, circa 2.100 aree e parchi archeologici e 43 siti Unesco. Nonostante questo dato di assoluto primato a livello mondiale, il RAC, un indice che analizza il ritorno economico degli asset culturali sui siti Unesco, mostra come gli Stati Uniti, con la metà dei siti rispetto all’Italia, hanno un ritorno commerciale pari a 16 volte quello italiano. Il ritorno degli asset culturali della Francia e del Regno unito è tra 4 e 7 volte quello italiano. A fronte della ricchezza del patrimonio culturale italiano, rispetto alle realtà estere esaminate, emergono enormi potenzialità di crescita non ancora valorizzate. Secondo il FAI (fondo ambiente italiano) i francesi con l’operazione Mission Val de Loire, si prendono cura del loro paesaggio e incassano, gli americani, sono bravissimi nel gestire la singola organizzazione, un esempio su tutti, il Getty Museum di Los Angeles. In Italia, purtroppo c’è ancora molto da fare. E non si tratta solo di mancanza di fondi: il Real Sito di Carditello, fattoria modello dei Borbone in provincia di Caserta, nel 2004 ha ricevuto 2 milioni e 400 mila euro per il restauro, ma oggi versa in condizioni deplorevoli. Ma al nord la situazione non è migliore come testimoniano certe sale della Villa Reale di Monza.  Un paese senza ricerca e senza cultura è u paese che è destinato a diventare sottosviluppato” (Margherita Hack).

Carlo Gibiino

 

 

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