Volevo fare l'architetto Il mio primo libro

08 – L’Italia non è più un paese per architetti

“Con il decreto Sblocca Italia DL. 133/2014, molto ridotto, il Governo Renzi – come peraltro accade tutti i giorni agli architetti italiani – ha sbattuto contro il muro della burocrazia conservatrice che ha mortificato e modificato il progetto di introdurre misure concrete per porre rimedio alla condizione delle città, del mercato dell’edilizia, degli architetti e degli altri professionisti del settore.
Il Decreto contiene, infatti, solo norme che sarebbero adatte ad un Paese normale in tempi normali: per l’Italia di oggi ci voleva ben altro”. Secondo il Cnappc (consiglio nazionale architetti paesaggisti e conservatori), aver rimandato, nello Sblocca Italia, il Regolamento Edilizio Nazionale, non aver posto limiti temporali alla possibilità della P.A. di revocare un permesso o di cambiare le proprie decisioni, non aver modificato i requisiti di accesso alle gare per i progetti pubblici (che oggi escludono il 99% degli architetti a favore di poche grandi società capitalizzate), non aver varato un vero progetto di rigenerazione urbana sostenibile che mettesse mano agli 8 milioni di edifici italiani che possono cadere alla prima scossa, anche lieve, di terremoto, rappresenta “la pietra tombale per un settore, quello dell’edilizia, che ha già perso metà del suo fatturato”.
“    L’Italia non è (più) un Paese per architetti – denuncia il Cnappc -: redditi medi da ‘incapienti’, senza peraltro avere alcuna garanzia ‘sindacale’ né cassa integrazione né bonus statali; debiti con le banche per quasi la metà dei progettisti italiani che nessuno paga, considerato che i giorni necessari per ottenere un pagamento da parte della Pubblica Amministrazione sono oltre 218, quelli da parte delle imprese 172 e, dei privati, 98”.
Il nostro territorio ha bisogno di politiche per lo sviluppo per tornare a crescere; le città sono il motore dell’economia, e possono essere considerate catalizzatori di innovazione e creatività, affinché ciò avvenga le dimensioni – sociale, culturale, economico, ambientale – della vita urbana vanno improrogabilmente messe in stretta relazione attraverso un approccio integrato. Il tema della rigenerazione urbana è di grande attualità e può contribuire a ridare vita alla discussione tecnica al fine di calibrare con maggiore successo sia gli strumenti normativi che quelli progettuali.
La programmazione finanziaria dell’Unione Europea offre nuove ed importanti opportunità per lo sviluppo urbano: quali creazione di lavoro, uso sostenibile delle risorse energetiche, mobilità sostenibile e riqualificazione urbana sono solo alcuni degli obiettivi strategici identificati per il cui adempimento sarà necessario non solo rafforzare il dialogo tra le amministrazioni pubbliche locali, ma anche e soprattutto incentivare gli investimenti. E’, dunque, indispensabile dotarsi di un piano strategico di rigenerazione che ponga gli obiettivi di qualità urbana ed architettonica, di risparmio delle risorse naturali ed energetiche, di efficienza e razionalizzazione della vita urbana, ad un livello prioritario; poiché primo destinatario della rigenerazione urbana sostenibile è e deve essere il cittadino, occorre una “rivoluzione civile e culturale” affinché si diffonda la consapevolezza dell’abitare.
La ricerca della qualità urbana passa attraverso approcci interdisciplinari che sappiano affrontare le diverse problematiche valorizzando le specifiche potenzialità locali, l’urgenza è quella di riqualificare spazi già esistenti e non valorizzati piuttosto che costruire ex-novo, anche per contribuire a ridurre la crescita urbana incontrollata e l’ulteriore consumo di suolo.  Quello che si cerca di raggiungere con gli interventi di riqualificazione urbana è in definitiva una “sostenibilità” che abbia il triplice valore di benessere, sicurezza sociale e rispetto ambientale. “Dal punto di vista sociale, il coinvolgimento nel recupero urbano e i processi di partecipazione sono oggi divenuti estremamente importanti non solo per promuovere l’identità locale, la condivisione, l’appropriazione spaziale, ma anche per rispondere a fenomeni quali la marginalità, la concentrazione di migranti, l’esigenza di sicurezza, la presenza di fasce deboli della popolazione” (De Matteis M., La riconfigurazione degli spazi aperti, la densificazione e i sistemi naturali come strumenti per la riqualificazione delle periferie residenziali, progetto “Futuro in Ricerca” MIUR).
I programmi di rigenerazione urbana pongono maggiore attenzione alla sfera sociale e sono volti a combattere la povertà e l’emarginazione sociale, in questo senso, è possibile scorgere una nota evolutiva che va dal pragmatico recupero fisico -spaziale, ad una olistica rigenerazione che si sviluppa attraverso azioni di tipo sociale, economico, culturale ed ambientale. Ma non è tutto rose e fiori, secondo David Madden, docente di Sociologia e Programmazione Urbana alla London School of Economics, la rigenerazione urbana è stata un fallimento: “Rigenerazione urbana, secondo i suoi fautori, vuol dire mettere fine alla povertà. Purtroppo, la realtà è che la povertà viene solo spostata altrove si dice che i quartieri poveri avrebbero bisogno di rivitalizzazione come se l’assenza di vita -opposto ad impoverimento e perdita di potere- fosse il vero problema. Esclusione viene “riclassificata” come “rigenerazione”. La missione liberale di “incrementare la diversità” è utilizzata ampiamente come scusa per allontanare i residenti originali dalle loro aree, in zone come Harlem e Brixton -aree celebri per la lunga storia di lotta politica e diversità culturale – al termine del processo di gentrificazione, si plaude alla vittoria sulla “povertà” ignorando il fatto che il disagio è stato solo   spostato altrove”. (www.theguardian.com).
In conclusione, la rigenerazione urbana come strumento può offrire grandi opportunità di sviluppo, ma è bene prendere in considerazione anche gli aspetti fallimentari che sono venuti a galla nei processi precedenti per avere una visione quanto più ampia possibile, evitando gli errori del passato. Probabilmente non è il nostro caso in Italia, ma soprattutto in Sicilia, tutto deve rimanere così com’è il cambiamento ci fa paura…chissà perché poi.  Siamo entrati nel III millennio, la nostra vita sta, se pur lentamente cambiando, cambiano le abitudini, il modo di vestire, il modo di mangiare, cambiano i concetti e le definizioni, il modo di incontrarsi e fare amicizia.
Il concetto di “Moderno” è ormai “Antico”, più che mai quello di “Contemporaneo”. Io intendo come contemporaneo tutto ciò che è presente oggi, in questo momento, in questo preciso istante, davanti a noi: è quello che costruiamo oggi; tutto il resto è passato.“Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre” (Winston Churchill).
Carlo Gibiino

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