Volevo fare l'architetto Il mio primo libro

11 – Distopia architetturale

Il futuro degli edifici è decisamente incerto, alcuni vengono abbattuti per essere sostituiti da altri più efficienti dal punto di vista tecnologico, energetico e ambientale, ovviamente non in Italia dove gli edifici crollano perché vetusti in pratica si autoeliminano, altri che conservano in se stessi una memoria storica che ci ricordano da dove veniamo, chi eravamo, come abitavamo, vengono oggi giustamente ripresi e riutilizzati in base a nuove esigenze. Gli spazi si restringono sempre più, in Giappone ad esempio, è ormai diventata una chimera potersi permettere di acquistare un terreno e fabbricare, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista prettamente geografico (non esistono più spazi liberi!!!), e chi trova l’occasione di acquistare 50 mq, e ovviamente se lo può permettere, obbliga progettista e famiglia a cercare nuove soluzioni per poter abitare in 30 mq + 20 mq di giardino. Sicuramente una sfida tanto interessante per il progettista, quanto difficile per gli abitanti. In Italia, ormai 100 mq, sono diventati troppo piccoli; e allora che fare? La conservazione dell’architettura obbliga o implica la formazione di una nuova professione? La professione non è sufficientemente preparata per questo nuovo compito largamente basato sul riutilizzo e la riprogettazione di edifici esistenti. E’ una necessità impellente ma è certamente poco pianificata nella formazione. Lo spazio prima o poi finirà e le soluzioni sono due:

1    .     la già largamente e ampiamente discussione sulla progettazione verticale;

2    .     il riutilizzo e la riprogettazione.

Riutilizzo e riprogettazione intesa anche e soprattutto come nuovo stimolo per far fruire a tutta la popolazione intera di beni ormai dimenticati e abbandonati da tutto e da tutti, anche dal tempo. Nella speranza di superare il concetto di cristallizzazione dell’architettura, mi auguro che ben presto, le nostre amministrazioni possano riuscire nei favolosi intenti rimasti finora tali.

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato sul suo sito internet le informazioni tecniche relative allo stock immobiliare censito in catasto al 31 dicembre 2014. Si tratta di 73 milioni di immobili per una rendita complessiva di circa 37,5 miliardi di Euro, un patrimonio edilizio immenso che necessita di rinnovamento, efficientamento e messa in sicurezza. “Il dato complessivo si aggrava ulteriormente se si prende in esame in particolare il patrimonio edilizio pubblico, rispetto al quale pesano particolarmente alcuni pregiati edifici a valenza storica (con le evidenti difficoltà d’intervento connesse) ed una più generale vetustà del patrimonio, enfatizzate negli ultimi anni dalle ristrettezze della finanza pubblica centrale e locale. La conseguenza sono municipi, uffici, scuole, palestre pericolosi dal punto di vista sismico e che bruciano (in senso letterale) risorse in ragione della scarsa efficienza energetica delle loro caldaie, dei loro infissi, della loro coibentazione”. (fonte: ENEA idee per lo sviluppo sostenibile). Il patrimonio immobiliare italiano è il più vecchio d’Europa: il 5% degli edifici necessita di interventi urgenti, mentre il 40% richiede misure di manutenzione straordinaria. Lo sconfortante panorama è stato reso noto in occasione del Festival Green Economy di Distretto organizzato nel 2012 presso l’auditorium di Confindustria ceramica di Sassuolo. Eppure una strada per invertire questo stato di cose esiste ed è quella della riqualificazione, del recupero dell’esistente e dell’innovazione tecnologica in edilizia. Ne sono convinte Fillea Cgil e Legambiente, che hanno presentato congiuntamente il rapporto su innovazione e sostenibilità nel settore edilizio “Costruire il futuro”. Secondo lo studio, è necessaria una gestione strategica dell’intero processo di recupero e rinnovamento del patrimonio abitativo attraverso l’applicazione di un mix di soluzioni progettuali tecnologiche e impiantistiche sostenibili che servano anche a metterlo in sicurezza. Tutto questo porterebbe a un innalzamento della qualità della vita dei cittadini e a un aumento dell’occupazione stimato in ben 600.000 nuovi posti di lavoro nei prossimi 10 anni. Bisogna puntare sull’innovazione tecnica e progettuale, senza di essa non c’è sviluppo e nel futuro gli investimenti dovranno essere concentrati nella riqualifica del patrimonio esistente, nelle smart cities e nelle infrastrutture, puntando su sicurezza, sostenibilità, accessibilità e fruibilità”. Bisogna attivare con gli abitanti percorsi di inserimento rendendoli promotori e attori delle trasformazioni, rafforzare l’identità e il senso di appartenenza ai luoghi, in una sola parola: “Progettazione partecipata”.

La progettazione partecipata affonda le sue radici nel periodo che va tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo ad opera di Patrick Geddes. Nel suo “Cities in Evolution”, Geddes teorizza uno strumento di risanamento e pianificazione della città e del territorio in maniera ecologica, generando matrici ove compaiono “luogo”, “gente” e “lavoro”. Inoltre sperimenterà diverse volte recuperi urbani partecipati. La partecipazione esprime una volontà generale che si prefigge di attuare principi di giustizia ed equità sociale, i quali permettono di raggiungere importanti obiettivi in termini di qualità efficacia e rappresentatività della progettazione, soprattutto consentono che il piano sia sentito dalla comunità perché contiene le immagini che la comunità locale assegna ai luoghi di vita e di relazione. Gli elementi che caratterizzano i processi di progettazione partecipata sono:

– la conoscenza locale nei suoi molteplici aspetti culturali ed economici; essa rappresenta il perno dell’analisi territoriale e sociale sviluppata nei progetti di produzione sociale di città e del territorio. Gli abitanti non sono più soggetti passivi, essi divengono soggetti attivi nella progettazione che attraverso una conoscenza specifica dei luoghi e dei problemi, producono un sostanziale salto qualitativo;

– l’ascolto critico, il continuo scambio tra i diversi soggetti del processo progettuale delinea in modo netto i reali fabbisogni, esplicita i desideri inespressi;

–  la partecipazione è un laboratorio creativo di comunicazione efficace;

–  infine i bambini possono essere protagonisti diretti delle nuove esperienze di partecipazione.

      Carlo Gibiino

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