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LA CULTURA È MOBILE

Stando a quanto riporta la dicitura scolpita sulle facciate in travertino del Palazzo della Civiltà Italiana presso il quartiere EUR di Roma, gli italiani sarebbero “un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori”, ma forse non di lettori. A conferma di ciò, i dati Istat segnalano che nel 2015 soltanto il 42% delle persone con più di sei anni ha letto almeno un libro per motivi non strettamente scolastici o professionali, e che una quota ancora più esigua (circa il 2,5%) ha frequentato una delle seimila biblioteche pubbliche.
Eppure, in una società interessata da fenomeni di disuguaglianza e privatizzazione di molti servizi, la biblioteca diviene un indispensabile baluardo del benessere sociale, al pari di scuole e ospedali. Essa va ripensata come parte di quella “infrastruttura di conoscenze” essenziale per uscire dalla profonda crisi dell’economia mondiale e per stimolare il capitale sociale di un territorio: aziende di successo quali Apple, Microsoft, Google, YouTube nascono grazie al terreno fertile costituito dai luoghi della cultura e della formazione, così come dalle librerie e caffetterie che offrono gratuitamente una rete wireless ai clienti.
Per queste moderne “piazze del sapere” Antonella Agnoli, nel suo omonimo saggio, rivendica il ruolo di sede dell’incontro casuale e della libertà urbana, ruolo non più esercitato né dai tradizionali luoghi della vita collettiva – piazze e chiese sono sempre più vuote – né dai nuovi spazi pseudo-pubblici – centri commerciali, distretti aziendali e parchi ludici sono progettati appositamente per escludere determinate classi sociali ritenute “indesiderabili”. Non soltanto la biblioteca del XXI secolo accoglie persone differenti per età, condizione sociale, comportamenti e tradizioni, ma si diffonde a piccola scala o diviene mobile per approssimarsi ai luoghi dell’abitare quotidiano, «per andare lì dove la gente si incontra: al mercato, in piscina, in spiaggia o nei casermoni […]. Soprattutto, dovrà andare dove vivono le persone con vari impedimenti (ospedali, carceri, caserme, case di riposo, appartamenti di portatori di handicap o anziani immobilizzati)».
Un prototipo ideale per soddisfare tale esigenza è la Biblioteca Mobile A47 a Città del Messico, una sorta di “edificio in viaggio” voluto dalla Fondazione Alumnos47 per ospitare temporaneamente una collezione di libri d’arte contemporanea, in attesa che venga costruito il museo al quale è destinata. Lo studio Productora ha pertanto raccolto la sfida di convertire un camion in centro culturale itinerante di venti metri quadrati, ricorrendo agli scaffali sospesi e alle piattaforme flessibili nel pavimento per organizzare lo spazio interno secondo le diverse attività previste: consultazione del patrimonio bibliografico, presentazioni letterarie, cineforum, laboratori di scrittura e così via. Questo approccio progettuale dimostra come un uso sapiente dell’architettura permetta di elevare un mezzo di trasporto a forum culturale che si relaziona direttamente con il contesto urbano e sociale.
 
Sebbene una delle obiezioni all’inserimento di nuovi presidi culturali sparsi nel territorio risieda nella scarsità economica in cui versano attualmente le amministrazioni pubbliche, alcuni esempi dal Canada a Israele dimostrano quanto sia possibile fare con poco. Lo Story Pod, progettato dall’Atelier Kastelic Buffey e costruito gratuitamente dai dipendenti comunali di Newmarket (sobborgo in espansione a nord di Toronto), è un volume di quasi sei metri quadrati composto da doghe in legno e pannelli di Lexan facilmente smontabili nei mesi invernali. Di giorno esso si apre sulla piazza antistante grazie ai perni su due pareti, attirando i residenti dalle strade circostanti e invogliandoli a curiosare tra le pile di libri; di notte, quando le pareti sono chiuse, un sistema di luci LED alimentato da pannelli solari sul tetto lo tramuta in lanterna urbana che conferisce atmosfera agli eventi serali della comunità.
La biblioteca-giardino realizzata da Yoav Meiri all’interno del Levinski Park di Tel Aviv nasce come progetto socio-artistico basato sulla idea che leggere un libro costituisca un diritto umano fondamentale – oltre che una occasione di evasione e protezione dalle disgrazie quotidiane – per rifugiati e lavoratori migranti. Affinché venga frequentata senza paura da chi mantiene lo status di clandestino, la biblioteca non ha muri o porte né custodi, ma comprende semplicemente due librerie che si fronteggiano in uno spazio aperto di cinquanta metri quadrati: quella più alta è riservata agli adulti e la sua griglia di protezione si apre verso l’alto formando una tettoia che offre riparo dal sole; la struttura più bassa è invece dedicata all’infanzia e le sue ante si ribaltano verso il basso per creare una pedana in cui i bambini possono sedersi e leggere.
E cosa dire, infine, di Hay-on-Wye, piccolo centro medievale del Galles dove i cittadini possono acquistare o prendere in prestito libri nei ristoranti, in farmacia, nelle panetterie e addirittura nelle strade letteralmente invase dagli scaffali?
Siamo entrati nell’epoca della cultura mobile, che nel prossimo futuro riserva agli architetti la stimolante sfida di coinvolgere abitanti, bibliotecari e amministratori nella progettazione delle città – grandi, medie o piccole che siano – come biblioteche diffuse.

 

Emanuele Forzese

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