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PROGETTARE O NON PROGETTARE: QUESTO È IL PROBLEMA? – di Emanuele Forzese

Song Dong, “Wu Wei Er Wei (Doing Nothing Doing)”, installazione alla Triennale di Brugge, 2015 (fonte: u-in-u.com).

In occasione della Triennale di Brugge del 2015, l’artista cinese Song Dong ha realizzato una scultura architettonica ispirata al concetto cinese del “wu wei”, letteralmente traducibile come “non agire”. Collocata di fronte alla Cattedrale di Saint Saviour, la scultura è costituita dalle finestre recuperate da uno dei tanti edifici tradizionali che vengono demoliti per fare posto alle nuove torri simbolo dell’incessante processo di urbanizzazione in Cina. Lungi dall’essere un elogio dell’inerzia, il “wu wei” è una forma sofisticata di “azione senza contrapposizione”, che comprende le capacità di cogliere le infinite potenzialità del presente, di eseguire azioni conformi alle leggi della natura, di conseguire risultati senza scatenare conflitti, infine di imparare tramite l’esperienza e non con le parole. Per quanto possa sembrare paradossale ragionare in termini di inazione nella costruzione dello spazio, dalla trasposizione di tali capacità in ambito architettonico è possibile desumere quattro riflessioni utili per la pratica progettuale.

1) Osservare il contesto senza pregiudizi

La cultura occidentale tende a creare l’architettura del mondo attraverso le idee, invece quella orientale a osservare il divenire delle cose attraverso l’esperienza. La via di mezzo tra i due approcci consiste nel costruire con una mano e nell’aver cura di ciò che già esiste con l’altra: in questo modo l’Uomo-progettista opera in armonia con il Cielo (le condizioni climatiche) e la Terra (i caratteri ecologici, socio-economici, storico-culturali, estetici del territorio), ponendosi rispetto al sito in cui opera con imparzialità e sincerità.

Il progettista “saggio” è senza idee privilegiate, privo di posizioni fisse, quando agisce in una realtà preesistente, ben consapevole che «avanzare un’idea equivale a perdere di colpo quello che si voleva cominciare a chiarire, per quanto si operi con prudenza e anche con metodo: si è condannati a un punto di vista particolare, qualunque sforzo si faccia poi per riconquistare la totalità. Non la si finirà più, ormai di dipendere da questa piega, quella formata dalla prima idea avanzata» [François Jullien, Un sage est sans idée, 1998]. Libero dai condizionamenti e aperto al potenziale, l’architetto è così in grado di accogliere e far confluire i molteplici e multiformi fenomeni contemporanei nel proprio progetto.

2) Realizzare una costruzione senza costrizione

Un’antica storia narra di alcuni amici che si mettono in competizione disegnando un serpente. Uno tra loro, terminato il compito per primo e vedendo che gli altri sono ancora indietro, decide di dimostrare la sua superiorità aggiungendo al serpente delle zampe, ma questo eccesso alla fine gli fa perdere la gara. Il proverbio cinese “hua shi tian zu” insegna dunque che forzare un’azione a ogni costo non ottiene lo scopo voluto, semmai il suo opposto: sarebbe opportuno ricordarsene, quando nella progettazione di un edificio ci assale la tentazione di “disegnare il serpente aggiungendovi le zampe”.

Contro ogni forma di eccesso, l’architetto possiede in sé, in quanto essere umano, l’unità di misura dell’azione progettuale, che gli consente di superare le seducenti coercizioni esercitate da principi sovraumani o dimensioni fuori scala. La giusta misura si concretizza in un “costruire per niente” oppure in un “costruire niente”: la prima è interpretabile come azione indipendente dal successo mediatico di chi la esegue, tesa a rispettare la dimensione umana e assecondare il carattere dei luoghi senza preoccuparsi di ottenere il consenso a tutti i costi mediante sterili formalismi spettacolari; la seconda azione si traduce in invito a riflettere profondamente sul significato del costruire a partire da ciò che lo precede logicamente, ovvero il non-costruire.

3) Collaborare senza conflitti

Il buon esito della progettazione deriva dall’equilibrio perfetto tra il sapere ed il fare, oltre che da cinque elementi strategici: la modalità esecutiva (Via); i parametri atmosferici (Cielo); le condizioni topografiche (Terra); le qualità e virtù del progettista (Comandante); la flessibilità della strategia (Tecnica). In genere l’architetto si rapporta da un lato con committenti e fruitori, dall’altro con costruttori e maestranze. Tuttavia, nel panorama odierno le produzioni architettoniche sono sempre più espressioni collettive, attuate da gruppi di individui con competenze diverse che affiancano il professionista nella definizione dell’idea progettuale: questi deve dialogare sia con strutturisti, impiantisti e paesaggisti, sia con neuroscienziati, filosofi, sociologi, psicologi, e così via. Pertanto, il conseguimento di un risultato privo di conflitti richiede una consapevolezza psicologica di sé e dell’altro, che costituisce la condizione fondamentale per gestire le relazioni tra i soggetti coinvolti nel processo costruttivo.

4) Imparare l’architettura senza spazio

La trasmissione del sapere deve essere forgiata dallo studio e nobilitata dal rito, affinché possa indirizzare l’operato del progettista verso una espressione armonica basata sul vuoto. Nel pensiero cinese la ragione d’essere delle parole è il senso, per cui, una volta afferrato il senso, si dimenticano le parole; analogamente, in architettura la ragione d’essere dello spazio è il vuoto: una volta afferrato questo, occorre dimenticare lo spazio. Il vuoto è al contempo sia assenza di pregiudizi, emozioni e desideri nel conseguimento della conoscenza, sia energia universale che investe lo spazio: per il filosofo Chang Tsai «lo spazio vuoto non è altro che il volume occupato dall’energia. Quando l’energia, flusso senza limite, è sottile al punto da non avere forma, gli uomini vedono lo spazio vuoto, ma non l’energia. Ordunque, tutto lo spazio vuoto non è che energia: allorché è condensata, diviene visibile, e gli uomini dicono allora che v’è qualcosa; quand’è dispersa, non è più visibile, e gli uomini pensano allora che non vi sia nulla».

Le quattro riflessioni proposte si basano sull’equilibrio del ritmo secondo il principio di inversione degli opposti. Per gli antichi cinesi la parola contiene il silenzio, il moto si alterna alla quiete, e la costruzione nasce dalla distruzione: dobbiamo forse dedurne che la progettazione implica la non-progettazione? Parafrasando il pensiero tattico di Sun Tzu, la strategia progettuale migliore consiste proprio nell’essere privi di strategia progettuale: l’architetto “saggio” non pianifica a priori, perché sa che affrontare la realtà nelle sue mutevoli complessità e contraddizioni richiede una mente libera dalle idee preconcette che tendono a sostituirsi ad essa. Talmente libera da comprendere che, alcune volte, il miglior modo di garantire una maggiore qualità complessiva dell’ambiente è appunto “creare senza costruire”.

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