Volevo fare l'architetto Il mio primo libro

01 – Sogni, ambizioni e traguardi

Quando ho concluso i miei studi universitari presso l’Ateneo di Palermo, ero pieno di entusiasmo, di forza, di sogni, immaginavo che, col tempo, avrei creato uno studio associato, che con l’arrivo paziente dei miei primi 40 anni avrei potuto dire di essere un professionista. Iniziai sin da subito a lavorare presso un giovane studio di progettazione a Monreale, con il quale cominciai a percorrere i primi passi in questo affascinante mondo fatto di progettazione, di committenza, di questioni burocratiche. Ero felice di fare le mie prime esperienze e anche se lavoravo gratis, a quel tempo non mi importava, volevo solo fare esperienza, toccare con mano tutto quello che all’Università non ci insegnano ma che fa parte integrante di questo splendido mestiere. Per cui mi sono buttato giù a capofitto, come sono solito fare, nelle mie mansioni, che ovviamente all’inizio erano per lo più di semplice disegnatore cad. Dopo circa un anno, avevo imparato tante cose, ma purtroppo non ero ancora mai stato in un cantiere, non avevo redatto un computo metrico, non conoscevo le fasi di realizzazione di una costruzione, cose fondamentali per un professionista, ma che neanche l’Università mi aveva dato. In quel momento non ci pensavo molto, c’era tanto lavoro da fare, a me piaceva e in più cominciavo a guadagnare i primi soldi che, ovviamente, sono sempre uno stimolo positivo e gratificante. Dopo qualche altro mese, però, successero dei gravi fatti che mi fecero allontanare da quello studio, si è vero sono orgoglioso ma a certi compromessi non si scende, forse se fossi stato più maturo avrei potuto gestire la situazione in maniera diversa, in ogni caso mi ritrovai senza lavoro e senza soldi, per cui iniziai a pensare al mio futuro. Cominciai a cercare lavoro su internet, stampai diversi curriculum e mi girai quasi tutti gli studi di architettura e di ingegneria di Palermo, con la mia italianissima vespa, consegnando fiducioso i miei “santini”, ma nulla di nuovo accadde. Una sera mi ritrovai da solo a bere una birra in un noto quartiere di Palermo, lì incontrai un mio amico che a quel tempo lavorava presso l’Università come dottorando e mi propose di aprire uno studio a Caltanissetta. Ero al settimo cielo, finalmente il mio studio da professionista. Lui mise a disposizione un appartamento di sua proprietà, feci realizzare una splendida targa in ceramica, ricordo ancora l’emozione nel fissarla al muro esterno dell’edificio, restai a guardarla un po’ soddisfatto di me, poi salii sopra e cominciai a sistemare i miei arredi, scrivania, computer, i miei amici mi regalarono una bellissima lampada da tavolo, appesi alcuni quadri, comprai delle sedie un armadio, insomma creai il mio piccolo spazio. Il mio socio, non era molto presente, in quanto impegnato con i suoi affari universitari, preparare lezioni, scrivere tesine ecc….ma quelle poche volte che ci incontravamo parlavamo di come potessimo utilizzare i finanziamenti della comunità europea per iniziare la nostra nuova avventura. Così un giorno, arrivò il nostro primo cliente interessato a voler investire una grossa somma di denaro e trasformare una sua proprietà in struttura ricettiva. Andammo a fare un primo sopralluogo per poi completarlo con rilievo geometrico, rilievo fotografico, ricerche al catasto ecc… studiammo il bando e non appena avemmo il quadro completo, ci incontrammo nuovamente per prendere gli accordi definitivi e cominciare la fase progettuale. L’incontro andò abbastanza bene tranne per un fatto; appena parlammo di soldi, spese vive e rimborsi, quindi senza accennare in alcun modo al nostro onorario, il cliente cominciò a storcere il naso, dicendoci chiaramente che anche altri professionisti si occupavano di finanziamenti, ma che a loro non era dovuto nulla. Perplessi ci guardammo negli occhi e ci lasciammo con l’impegno di risentirci presto per ulteriori sviluppi. Con il mio socio ne parlammo per giorni, non era una facile decisione, quello era il nostro primo lavoro che avrebbe potuto portarci tanti benefici…..si!!!….ma le spese chi le paga???? Prendemmo la nostra decisione e la comunicammo al cliente il quale non si fece più sentire ne vedere. Mi ritrovai nuovamente senza sapere cosa avrei potuto fare, mi iniettai una bella dose di menefreghismo, orgoglio e umiltà e pensai di voler creare una rivista che parlasse di architettura e di arte dedicata ai colleghi Siciliani, o quantomeno al momento pensai ad una diffusione provinciale per poi allargarla in ambito regionale. Cominciai a studiare, a progettare, a coinvolgere amici e colleghi al fine di realizzare il mio sogno. Non fu affatto facile, ma alla fine ci riuscii, nacque il MIAC (movimento internazionale architettura contemporanea), supportata da un associazione di architetti chiamata MAAC (movimento per l’architettura e l’arte contemporanea) di cui ne ero il presidente. La rivista era sia cartacea che digitale, mi iscrissi all’albo dei giornalisti e diventai il direttore responsabile della rivista, ma contemporaneamente ricoprivo anche altre figure, come il grafico, il procacciatore di sponsor e ovviamente anche redattore; procurai anche una casa editrice disposta a collaborare, mi occupai della registrazione al tribunale, insomma feci tutto quanto servisse per la regolarizzazione della rivista. Cercai anche dei finanziamenti a livello locale, mi rivolsi all’Ordine degli Architetti non solo per avere un aiuto economico ma anche e soprattutto gestionale, pensavo nella mia ingenuità che avrei trovato le porte aperte, anche perché ricordo ancora il discorso che il Presidente dell’Ordine  fece ai nuovi iscritti, (era il 2003) presentandosi come un amico al quale avremmo potuto rivolgerci per qualsiasi dubbio, informazione,  problematiche varie ed anche per valutare nuove proposte. Di fatto così non fu, trovai invece ostacoli ovunque anche per farmi consegnare l’albo degli iscritti, albo che risaliva e che credo ancora oggi sia così, al 1996 nonostante l’art. 22 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, regolamento per le professioni d’ingegnere e di architetto così recita: “il consiglio dell’ordine, nel mese di Gennaio di ogni anno, provvederà alla revisione dell’albo,, portandovi le varianti che fossero necessarie”; mentre all’art. 23 dello stesso R.D.: “l’albo stampato a cura e spese dell’ordine, è inviato alla corte di appello, ai tribunali, alle preture, alla prefettura ed alla camera di commercio, aventi sede nel distretto dell’ordine” e ancora: “potrà inoltre essere trasmesso a quegli enti pubblici e privati che il consiglio reputerà opportuno e, dietro pagamento, dovrà essere rilasciata copia a chiunque ne faccia richiesta”. Dovetti faticare non poco per superare le infinite ed inutili problematiche, ma alla fine mi diedero l’albo in formato pdf, con la promessa che l’anno successivo avrebbero stampato l’albo aggiornato; sta di fatto che siamo nel 2016 ma non esiste a tutt’oggi un albo aggiornato stampato. Messe di lato le mie perplessità, i miei dubbi e le mie delusioni, andai avanti nel mio progetto, nel frattempo anche i colleghi che avevano dato la loro adesione, erano spariti così mi ritrovai da solo, non è una novità, mi rimboccai le maniche e feci uscire il primo numero il 28 ottobre 2005 davanti ad una sala gremita di cittadini, colleghi e semplici curiosi. Fu la mia prima conferenza stampa. Andò meravigliosamente bene, ci fu un interessante dibattito e alla fine tornai a casa soddisfatto di me. Pieno di entusiasmo, mi misi immediatamente all’opera per far uscire il secondo numero, nel frattempo con l’associazione organizzai diverse manifestazioni culturali, workshop, dibattiti, incontri, in collaborazione anche con altre associazioni del territorio. Senza saperlo mi misi in mostra, e se da un lato diventai un personaggio scomodo, dall’altro cominciavano ad arrivare i primi lavori, si è vero di piccola entità, ma passai alcuni anni a pieno regime, non dico a livello economico, ma quantomeno a livello professionale. Cominciai ad essere il tecnico di varie attività commerciali, a fare alcune ristrutturazioni d’interni e ad un certo punto non riuscii più a dedicarmi alla rivista la quale, nonostante avesse una cadenza trimestrale, si fermò a cinque numeri. Nel frattempo fui contattato dallo IUAV, da una importante casa editrice del Sud Tirol, avevo stretto rapporti con il Presidente dell’allora consorzio universitario di Caltanissetta, cominciavo ad allargare i miei orizzonti. Erano già passati tre o quattro anni dalla mia abilitazione alla professione quanto mi resi conto che tutto facevo tranne che l’Architetto, iniziai a pensare di voler andare all’estero. Appassionato di grafica, cominciai a studiare un programma per realizzare rendering di alto livello, presi anche una certificazione per saper usare un programma cad che già conoscevo abbastanza bene, tanto che le lezioni per me erano anche noiose, ma lo feci in prospettiva di volere espatriare e di poter certificare le mie competenze. Alla fine del corso, l’insegnante mi segnala una possibilità lavorativa e mi mette in contatto con un’azienda di Palermo che si occupava di rilievi di grosse strutture appartenenti allo stato ai fini di catalogarle e metterne in risalto lo stato dei luoghi. Così presi un appuntamento, feci un colloquio e il giorno dopo iniziai, prendemmo un accordo economico per il primo mese come prova quantificabile in un rimborso spese, anche perché mi trasferii nuovamente a Palermo con conseguenti ulteriori spese. L’ambiente lavorativo era abbastanza gioviale, feci amicizia con tutti in breve tempo e devo dire, con mia soddisfazione, che sia il capo che i colleghi avevano apprezzato il mio modo di lavorare, veloce e puntuale. Passato il primo mese di prova, andai a parlare con il capo, chiedendo informazioni sui nostri accordi futuri, mi sento rispondere che la cifra stabilita € 500,00 al mese, per circa 10 ore di lavoro consecutive al giorno tranne un ora di pausa pranzo, erano più che sufficienti e non potevo pretendere di più. Senza fare troppe discussioni, capito l’andamento dei fatti, lasciai perdere e tornai a Caltanissetta deciso più che mai ad espatriare. Vengo contattato da una azienda, che si occupava di forniture ed arredi per locali ristorazione, (bar, tavola calda, ristoranti ecc…) per la realizzazione di render, così vado a fare due chiacchiere con il titolare il quale mi pone davanti una gran bella mole di lavoro, chiariamo anche l’aspetto economico e contento ed entusiasta della discussione torno a casa e cominciamo dal giorno dopo la nostra collaborazione. Nel frattempo cominciano ad arrivare altri lavori, perizie estimative, consulenze con il tribunale, mi metto nuovamente a regime, nonché anche una collaborazione con un grosso studio Svedese, l’idea dell’espatrio mi sembra più vicino adesso. Per la prima volta mi occupo di architettura, sono di nuovo al settimo cielo.

 

Dopo un periodo di regolare rapporto lavorativo con l’azienda dei render, la chiameremo così per comodità, in cui i pagamenti e le consegne avvenivano in maniera pressoché puntuali, arrivò il momento dei pagamenti in ritardo. All’inizio si trattò di 30 giorni circa, poi di 60, poi 90 fino al punto di aspettare anche sei mesi- un anno senza ricevere alcun pagamento. Cercai all’inizio, come sono solito fare, di trovare un accordo bonario, smisi ovviamente di lavorare per loro almeno fin quando non mi avrebbero saldato i compensi emessi con regolare fattura. Il proprietario mi chiese gentilmente di poter pazientare ancora un po’, io ebbi tanta pazienza, ma alla fine dopo due anni senza alcuna notizia decisi di rivolgermi ad un avvocato, per recuperare la somma. Bhè….sono passati, non ricordo più…..almeno SETTE anni, ma io non ho ancora visto nulla se non spese, spese e spese.  Oltre alle spese legali, sono stato anche costretto dallo Stato a versare l’iva e pagare la cassa di previdenza anche per le fatture non incassate. Abbiamo dovuto aspettare il  “decreto sviluppo bis” DL 83/2012 del 1° Dicembre 2012, meglio conosciuto come regime “dell’Iva per cassa”  per versare l’Iva solo quando viene pagata la fattura. Sembra che il legislatore abbia avuto un colpo di genio, ma come funziona?  Il cosiddetto regime dell’Iva per cassa, dà la possibilità per il contribuente-partita Iva di versare l’imposta sul valore aggiunto quando riceve il pagamento della fattura. Finora – e soprattutto in questi ultimi tempi di crisi e di ritardati o mancati pagamenti – succedeva di dover anticipare allo Stato un’imposta su un reddito non percepito. Tutti i titolari di partita Iva che fatturano meno di 2 milioni di euro all’anno possono scegliere di applicare al versamento dell’Iva il principio “di cassa”. Questo però vale solo per le operazioni verso altri titolari di partite Iva e non verso i privati consumatori (utenti finali). Com’è noto, l’Iva è una “partita di giro”, cioè la si incassa dal cliente e la si versa al fisco.  Quindi se non incasso non verso? Purtroppo non è così. Indipendentemente dall’avvenuto incasso da parte del cliente, l’Iva va comunque versata entro un anno dalla vendita o dalla prestazione del servizio a meno che il nostro cliente non sia fallito o sia stato coinvolto in qualche procedura concorsuale (concordato preventivo, amministrazione straordinaria, ecc.). Inoltre chi sceglie il “cash accounting” dovrà riportare sulle fatture emesse l’annotazione che si tratta di operazione con “IVA per cassa” ai sensi dell’articolo 32-bis del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83. La scelta di aderire al sistema dell’Iva per cassa deve essere comunicata nella dichiarazione Iva relativa all’anno in cui iniziamo ad adottare il nuovo sistema. Per esempio, se utilizziamo l’Iva per cassa dal 2013, la scelta va comunicata nella dichiarazione Iva del 2013 che deve essere presentata nel 2014. La scelta ci vincola per tre anni. Quindi se scegliamo di adottare questo sistema dal 2013 dovremo applicare il regime anche nel 2014 e nel 2015 per tutte le nostre operazioni. Sempre che il nostro fatturato rimanga sotto la soglia dei 2 milioni di euro, superata la quale l’Iva per cassa non si può più applicare. Bhè… leggendo il decreto non sono più tanto convinto che il legislatore abbia usato bene la sua “intelligentia” . Innanzitutto bisogna aderire, come se sapessi in anticipo chi mi pagherà all’emissione della fattura e chi no, anzi presuppone che lo Stato conosca perfettamente la situazione e la accetti passivamente, se non scrivo la corretta dicitura in fattura rischio anche una multa e se non ricevo il pagamento entro un anno sono ugualmente costretto a versare l’iva; in poche parole, siamo sempre noi contribuenti onesti a pagare tutte le spese, anche quelle non dovute. Lo stesso dicasi per il mio specifico caso di cui sopra, emetto fattura, il cliente non paga, ma io non solo devo anticipare tutte le spese ma non ho nessun tipo di garanzia per recuperare il credito. Mi sono arrovellato il cervello per cercare di capire come mai accade tutto questo, mi sono domandato più e più volte perché lo Stato non ci tutela? Perché in Italia deve sempre averla vinta il malandrino? Stesso discorso vale anche per l’INARCASSA, siamo costretti a versare un contributo minimo, da corrispondere indipendentemente dal reddito professionale dichiarato, il cui ammontare varia annualmente in base all’indice annuale ISTAT. Per l’anno 2015 è fissato in € 2.280,00. Ma cosa vuol dire? Anche se un professionista chiude l’anno con reddito ZERO, o anche con piccoli importi, è costretto a pagare senza alcuna garanzia. Si legge sulla rivista Inarcassa n. 2 del 2010: nel 2003 il debito previdenziale era di 13,7 miliardi di Euro; nel 2006 il debito previdenziale ra di 20,7 miliardi di Euro; ovvero 7 miliardi in 3 anni.

Carlo Gibiino

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